Devo dimenticare!
I conflitti di separazione e la costellazione della corteccia sensoria
MORBO DI ALZHEIMER
La demenza è il termine con cui la medicina convenzionale descrive una condizione neurologica caratterizzata dal declino di svariate funzioni cognitive. Essa può investire il linguaggio, le capacità prassico-motorie o la memoria a breve e/o lungo termine e il contesto sociale in cui siamo collocati ci ha abituati a pensarla come a qualcosa che coinvolge solo le persone in età avanzata, generalmente al di sopra dei 65-70 anni. Il dizionario etimologico ci spiega che il termine demente è composto da un prefisso de- , indicante “allontanamento da”, e mente, che lo stesso dizionario indica come “generatrice di idee” (in realtà il significato è molto più ampio, ma per l’uso che debbo farne in questo articolo è più che sufficiente).
Quando utilizziamo questo termine indichiamo pertanto una persona che non è in grado di generare pensieri di senso compiuto e che in qualche modo manchi di “presenza”. Permettetemi di esprimere un’osservazione, alla luce di quanto appena riportato. Tenderei ad escludere la correlazione fra età avanzata e demenza in termini scientifici, in quanto la condizione di “non presenza” è una caratteristica tipica dell’uomo occidentale, come già descritto in innumerevoli articoli all’interno della mia rubrica. Vorrei che ci allontanassimo dall’idea che questo termine sia il vettore di un significato negativo o denigrante e focalizzerei l’attenzione sulla vita di tutti i giorni.
Vi è mai capitato, per esempio, di ritrovarvi davanti all’armadio senza ricordarvi cosa dovevate prendere? O ritrovarvi in auto per andare a comprare qualcosa e non ricordarvi cosa? Oppure qualcuno che vi propone un indovinello di logica banalissimo e non essere in grado di risolverlo? E se vogliamo ampliare ancor più lo spettro d’analisi, a qualcuno è mai capitato di fare qualcosa di veramente stupido, come parcheggiare l’auto sul posto dei disabili o dimenticare le chiavi di casa appese alla porta? Possiamo classificare questi esempi come delle situazioni in cui la presenza viene totalmente a mancare? Provate a riflettere. Quando accadono eventi di questo tipo dove siamo? Siamo veramente presenti?
Tranquilli, non siamo tutti dementi. Tuttavia, in qualche modo, ognuno di noi manifesta delle sorte di black out. Chi più e chi meno. Possiamo dare la colpa alla stanchezza, allo stress, alle troppe cose a cui pensare, ma questo non cambia il fatto che si tratti di condizioni che potenzialmente possono coinvolgere tutti, nessuno escluso.
Il morbo di Alzheimer è considerato una forma di demenza. Prende il suo nome dal dottore tedesco Alois Alzheimer, il quale per primo ha proposto una descrizione della patologia nel 1906 (verrà battezzata con questo nome qualche anno più tardi). Nel 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riferito che la demenza coinvolgeva circa 50 milioni di persone nel mondo e di queste una percentuale che gravita tra il 60 e 70 % presentano sintomi da Alzheimer. Numeri che fanno pensare e che secondo le stime sono anche destinati ad aumentare nei prossimi anni. Statisticamente, si tratta di una condizione che sicuramente coinvolge maggiormente le persone di età superiore ai 65 anni, tuttavia negli ultimi decenni è aumentata anche fra persone di età compresa fra i 30 e i 60 anni, seppure in una percentuale che non supera il 10% dei casi totali stimati (fonte mypersonaltrainer.com). Come di consueto, ufficialmente le cause non sono chiare e i medici non riescono a dare una spiegazione del fatto che cellule nervose impegnate nei “distretti della memoria” - principalmente amigdala e ippocampo - “subiscano” un’atrofia tale da renderle inottemperanti alla loro funzione. Spulciando tra i vari siti e documenti si trovano le spiegazioni più disperate, tra cui l’immancabile “mutazione genetica ereditaria”, il fumo e il diabete.
Ancora una volta ci troviamo di fronte a spiegazioni confuse, in virtù delle quali vengono gettate responsabilità qua e là senza avere un minimo lume della reale situazione, verificabile in modo ripetibile sotto le lenti delle cinque leggi biologiche e non unicamente da quelle del microscopio, certamente utile, tuttavia insufficiente se considerato isolatamente.
BLACK-OUT!
Nell’ultimo articolo di questa rubrica ho cominciato a trattare un argomento molto complesso, tutt’ora in fase di approfondimento per me in primis. Le costellazioni schizofreniche sono tantissime e come già descritto precedentemente sono la combinazione di due o più attivazioni biologiche nei diversi emisferi cerebrali, tali da rendere possibile una polarità magnetica fra gli stessi. Ho descritto le costellazioni del paleo-encefalo e della sostanza bianca, ma non sono andato in profondità per quanto riguarda la corteccia cerebrale per la quale, come già indicato nel precedente articolo, Hamer aveva intercettato circa cinquecento costellazioni. Il Morbo di Alzheimer è considerato nel nostro ambiente come l’evoluzione di una costellazione schizofrenica della corteccia sensoria. Questa costellazione ha luogo nei seguenti casi:
Due focolai attivi, uno in ciascun emisfero cerebrale
Due focolai in crisi epilettoide, uno in ciascun emisfero cerebrale
Un focolaio attivo e uno in crisi epilettoide, per ciascun emisfero cerebrale
Ci troviamo come già detto nella corteccia cerebrale, ovvero quella porzione del nostro cervello che regola i tessuti derivanti dal foglietto embrionale ectodermico, l’ultimo sviluppatosi sia nella filogenesi che nell’ontogenesi. Nella fattispecie, il conflitto biologico di questi tessuti è la separazione, nel lato sinistro del corpo in relazione con madre o figli, nel lato destro del corpo in relazione a padre, partner o altri. Questo vale per uomini destrimani e donne mancine. Nel caso di donne destrimani e maschi mancini vale il contrario. Può capitare di essere in conflitto con una madre che percepiamo un po’ come tale e un po’ come partner e in tal caso il cervello attiverà due programmi, uno per ogni emisfero della corteccia sensoria.
L’individuo che vive questa esperienza entra pertanto in quella che abbiamo definito “costellazione schizofrenica”. A livello organico, è sovente manifestare dermatiti squamose che coinvolgono l’epidermide e quindi si manifestano con il decorso bifasico della cute esterna: ulcerazione dei tessuti in fase attiva con assenza, dolore e gonfiore in fase di soluzione e poi di nuovo assenza e insensibilità in fase di crisi epilettoide. L’insensibilità della fase attiva è totalmente funzionale a dimenticare temporaneamente la separazione vissuta e il soggetto dimentica cose apparentemente banali nel corso della sua quotidianità. Può dimenticarsi dove ha messo le chiavi della macchina oppure che bisogna andare a prendere il figlio all’allenamento di calcio. Osservando queste evenienze singolarmente, si tratta di situazioni che potenzialmente ognuno di noi può aver vissuto almeno una volta nella vita, esattamente come ho accennato ad inizio articolo.
Tuttavia, la sensazione di non ricordarsi cose essenziali o di non riuscire a svolgere operazioni apparentemente facili o ancora trovarsi in un luogo senza nemmeno ricordarsi il perché può innescare un circolo vizioso che avrà come unico risultato la convinzione di avere qualche deficit cognitivo (Hamer a tal riguardo utilizzava l’espressione “black-out”).
Come se non bastasse, qualora l’assenza avvenga nel momento in cui si deve fare un movimento, si può anche cadere per terra e al momento del risveglio non rendersi bene conto di cosa possa essere successo. Se a questo aggiungiamo il fatto che queste “cadute” possono avvenire in situazioni pericolose, come per esempio sulle strisce pedonali o mentre scendiamo una scala con una tazza di caffè bollente in mano, non è raro innescare anche dei conflitti che coinvolgono la sostanza bianca, nell’ambito della svalutazione.
Comincerò a percepirmi come un menomato, un inetto, un “rincoglionito” e di conseguenza il mio cervello attiverà dei programmi che coinvolgono le arteriole cerebrali e che prevedono l’ulcerazione dell’intima al fine di far scorrere più sangue al loro interno e alimentare meglio i distretti della memoria. Le recidive possono provocare la formazione di placche arteriosclerotiche che ostacoleranno l’afflusso di sangue alla corteccia sensoria. È questo il momento in cui la condizione di Alzheimer si manifesta. Le aree della memoria non vengono irrorate e di conseguenza i neuroni si ammalano e la massa cerebrale si riduce.
REVERSIBILE O IRREVERSIBILE?
Durante il corso a cui ho partecipato come relatore per la Scuola del Sintomo Daleth lo scorso inverno mi è stata fatta una domanda molto specifica sul morbo di Alzheimer.
Si tratta di una condizione irreversibile e destinata solo a peggiorare?
La mia risposta è stata come sempre ponderata sulla base di quelle che sono le mie conoscenze attuali e specificando che non ho esperienza clinica in tal senso. Anche l’Alzheimer, esattamente come un raffreddore o un melanoma, è un programma biologico sensato. Se prende piede, significa che la natura ha configurato un processo tale da ottenere uno specifico risultato - nella fattispecie, la necessità di cancellare il dolore di una separazione. È necessario tuttavia sottolineare il fatto che nel momento in cui ci si trova in situazioni in qualche modo invalidanti, come per l’appunto il ripetersi di amnesie o l’incapacità di compiere azioni quotidiane comuni (aprassia) o ancora la tendenza alla passività e all’apatia, è facile innescare un ciclo di recidive.
Il fatto che ci troviamo nel vasto reticolato delle relazioni con i propri simili, è praticamente ovvio che il percepito di invalidità o inadeguatezza possa manifestarsi in modo ancora più gravoso. C’è anche da considerare il fatto che purtroppo molto spesso le persone che circondano il soggetto con sintomi di Alzheimer non sono d’aiuto. La tendenza è infatti quella di sottolinearne il deficit, magari nella convinzione di aiutare la persona a ricordare meglio, ma ottenendo il risultato opposto. Tutto ciò può solo attivare recidive costanti che porteranno il soggetto a perdere fiducia in sé stesso, attivando chissà quanti e quali programmi di svalutazione e non solo.
Da un punto di vista puramente fisiologico, il fatto che la situazione possa essere reversibile oppure no dipende dall’entità del danno cerebrale. Nell’immagine che segue potete vedere con i vostri occhi un paragone tra un cervello sano e uno in avanzato stato di Alzheimer.

Pur non essendo un medico, credo di poter dire che in una situazione particolarmente avanzata, con una massa cerebrale visibilmente ridotta, non ci siano molte speranze di reversibilità delle capacità cognitive di un soggetto affetto da Alzheimer.
Diversamente, nelle prime fasi del programma è a mio avviso possibile riprendere le redini della situazione prendendo prima di tutto coscienza del fatto che si tratta di un programma biologico, perfettamente sensato e in quanto tale non condannabile. Una volta incarnato il concetto di programma biologico, va fatta luce sul conflitto che può averlo scatenato, tramite un’opera di indagine su sé stessi e sulla propria vita che non potrà fare altro che portare giovamento ed espansione. Per quella che è la mia breve esperienza nel mondo delle leggi biologiche, questo è tutto ciò che posso dire a riguardo.
CONCLUSIONE
La domanda che ci si pone a questo punto, del tutto legittima, è la seguente: qual è il senso di tutto questo? Tutti subiamo separazioni nella vita, eppure non tutti presentano i sintomi dell’Alzheimer.
In realtà, i soggetti che manifestano questa condizione hanno vissuto queste perdite come acute, isolate, drammatiche e scioccanti. Sono persone che non possono essere lasciate sole, non soffrono più i distacchi perché tanto si dimenticano di tutto e di conseguenza non potranno più soffrire per una separazione. Il sistema ottiene una sorta di compensazione. Dimenticando non soffro più. E come mai una separazione è così potenzialmente determinante per un essere umano? È semplice: il contatto dona identità.
Entrare in relazione con l’altro ci mette nelle condizioni di avere uno specchio su ciò che siamo in quanto tutto ciò con cui ci relazioniamo parla di noi, anche se molto spesso, purtroppo, questo principio di realtà viene ottuso da quel brutto vizio che tanto attanaglia l’intero genere umano: il giudizio. L’essere umano è l’unico mammifero esistente in natura in grado di giudicare le azioni degli altri, ottenendo in cambio ripercussioni in termini biologici su sé stessi. La persona che abbiamo a fianco, sia essa un partner, una madre o un collega di lavoro, si trova lì in quel preciso momento e in quel preciso istante per donarci informazioni su di noi. Entrare in relazione con qualcuno è una splendida opportunità per incedere in quello che in molti articoli ho definito “il percorso dell’anima”. Questo è il motivo per cui il contatto è un elemento fondamentale nella vita di tutti i mammiferi, uomo incluso. Non è meno importante dell’ossigeno o del cibo.
Per quanto “ce la raccontiamo”, è sempre difficile vivere una separazione, qualsiasi essa sia, persino da un oggetto! Eppure, come qualsiasi cosa esistente in natura, il gioco risiede nel prenderne coscienza, incarnare la separazione, trarre esperienza dallo shock emotivo al fine di trovarsi più preparati la volta successiva. Ancora una volta, le leggi biologiche ci insegnano a vivere. Qualcuno può smentirlo?