Alex Honnold e la Megalomania
Scalare un monte a mani nude senza alcuna attrezzatura di sicurezza è compatibile con la biologia umana?
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RESTA IN FORMA
Amo lo sport, anche se non sono mai un grande atleta. Cerco di tenermi in forma, frequento la palestra, mi piace camminare all’aria aperta. Non sono metodico per quanto riguarda l’attività fisica, ma riesco a tenere un ritmo che mi piace e mi fa stare bene. Non è troppo, ma nemmeno troppo poco. Da ragazzo giocavo a calcio in una squadra che frequentava i campionati locali e se dovessi fare un rapido sommario potrei dire che ho sempre giocato in teams dalla qualità medio-bassa, escludendo forse un campionato o due.
Intorno ai sedici anni decisi di appendere le scarpe al chiodo perché non sentivo più nessun tipo di attrazione verso quell’attività e dal diploma in poi la mia attività calcistica si limitava a qualche incontro con i colleghi di lavoro il lunedì sera. Successivamente, è susseguita una serie di tentativi presso varie discipline sportive nel disperato tentativo di trovare qualcosa che mi appassionasse. Nuoto, arti marziali, corsa su strada. Ho provato molte attività, ma non ho mai sentito trasporto per nessuna di esse.
Con la palestra posso dire di aver raggiunto una sorta di equilibrio, in primis perché ho trovato una persona che mi segue una volta a settimana spronandomi e dandomi consigli preziosi e non solo sul piano fisico-motorio. Da qualche anno ormai porto avanti questo lavoro e oggi sento di avere un’esperienza tale da poter effettuare in autonomia una vasta varietà di esercizi, per lo più a corpo libero, che sento totalmente compatibili con il mio corpo. Un traguardo per me molto importante. Mi sento molto bene dal punto di vista fisico e sebbene non sempre io riesca ad esprimere il massimo dell’energia, ho conquistato una sensibilità tale da comprendere quando non sono preparato per affrontare un determinato sforzo fisico. Ho raggiunto un equilibrio. Se non sento di poter o addirittura volere fare qualcosa, semplicemente non la faccio.
Conosco persone che si buttano in tutto, senza indugio, per provare emozioni nuove. Ho il massimo rispetto per loro e non nego che a volte vorrei provare sensazioni simili. Tuttavia, allo stato attuale sarebbe una forzatura, qualcosa che non fa parte ancora di me, con l’aggravante - o attenuante, dipende dal punto di vista - che non ne sento un effettivo desiderio. Non sento il bisogno di provare a volare con un mezzo che non sia un aereo oppure gettarmi nel vuoto con un paracadute. Non è perché credo sia sbagliato, bensì perché non sento nulla che mi porti in quella direzione.
Tuttavia, là fuori è pieno di persone che invece questo desiderio ce l’hanno. Alex Honnold è forse il più famoso arrampicatore e alpinista americano. Nel 2017 si è reso protagonista nella scalata al monte El Capitan, nel parco Yosemite in California. Nell’arco di quasi quattro ore ha arrampicato 900 metri abbondanti di dislivello totalmente senza attrezzature di sicurezza. Un’impresa monumentale, epica, senza eguali nella storia. Il tutto è stato immortalato dalle telecamere di Jimmy Chin in un bellissimo documentario realizzato per National Geographic e che porta il titolo di Free Solo. Non essendo un esperto di arrampicata, non avevo mai sentito parlare di quest’uomo. Il suo nome mi arrivò qualche mese mentre parlavo con il mio istruttore in palestra riguardo a come rafforzare un determinato complesso di muscoli della schiena. Non ebbi la possibilità di accedere immediatamente al documentario quindi feci passare del tempo, tuttavia recentemente ho attivato l’abbonamento per Disney Plus, dove sono presenti dei documentari veramente ben realizzati che variano fra tematiche come lo sport, la natura e persino il misticismo. Si possono trovare anche altri lavori del sopra citato Jimmy Chin, che tra l’altro è uno sciatore e arrampicatore di prima categoria.
FREE SOLO
Free Solo è fondamentalmente un docu-film. Chin fa un’analisi dettagliata della vita di Honnold fino alla fatidica scalata di El Capitan, una montagna la cui sola visione provoca brividi lungo la schiena. Riesce in poco meno di due ore a creare un quadro perfetto di quello che è il personaggio di Honnold.
Alex è un ragazzo molto chiuso, timido e tendente all’asocialità. A differenza di molti colleghi sportivi, si priva di una vita ricca di comfort, preferendo un furgone attrezzato “alla buona”, nel quale dorme e mangia. Non è attento all’outfit e tanto meno a rendersi piacente. Probabilmente non ha mai usato un pettine in vita sua. Predilige i boschi alla città e si allena costantemente. Il suo primo desiderio è quello di arrampicare. Salire verso il cielo.
Anche se esplicitamente spiegato nel corso del film, non è difficile pensare che una persona come lui possa avere qualche difficoltà nelle relazioni. La sua ragazza Sanni esprime chiaramente le difficoltà che incombono sulla coppia. Asperità prevalentemente dovute alla quasi totale mancanza di affettività di Alex. Più nello specifico, in un frangente del film Alex si reca in una clinica neurologica per farsi fare una tac al cervello e scopre che la sua amigdala non risponde agli stimoli esterni. In un certo senso, è come se fosse congelata e per funzionare in modo regolare dovrebbe essere in qualche modo riscaldata. L’amigdala è una piccola porzione di cervello a forma di mandorla deputata alla trasmutazione delle informazioni che provengono dall’esterno in emozioni. Fa parte del sistema limbico e insieme ad altri organi come l’ippocampo e l’ipotalamo, contribuisce a formare la memoria emozionale dell’individuo. In poche parole, trasforma i dati analogici raccolti dal sistema sensoriale in impulsi elettrici.
Esattamente come fa una scheda audio nel mondo della registrazione musicale: raccoglie uno stimolo analogico, come per esempio la voce umana, e lo trasforma in un segnale digitale che sia interpretabile dalla CPU, che nella fattispecie è il cervello.
Alex ha bisogno pertanto di essere sollecitato molto per dare sfogo alle proprie emozioni, ma questo lo si può intuire anche attraverso i suoi occhi. Grandi, neri e persi totalmente nel vuoto. Gli amici della troupe sono enormemente preoccupati per l’impresa che si appresterà a fare, ma lui sembra non provare la minima sensazione di paura. Semmai, la potremmo definire prudenza. La prima volta che proverà la scalata in free solo, egli infatti decide di tornare indietro dopo qualche decina di metri perché nel suo cervello scatta un qualche tipo di campanello d’allarme. Vuole lasciare la sua ragazza dopo che avrà subito un incidente proprio a causa sua durante un allenamento. Esprime anche troppo lucidamente che la relazione non è altro che un ostacolo tra lui e i suoi obiettivi. La sua sincerità stronca le aspettative della ragazza, la quale si presenta tuttavia sempre disponibile e gentile, nonostante debba convivere tra le altre cose con l’idea di poter perdere il proprio ragazzo in un istante.
Come fa un uomo a desiderare così ardentemente di fare qualcosa che può mettere a repentaglio la propria vita? Proviamo ad analizzare bene la situazione in termini biologici osservando il comportamento degli animali in natura. Tra gli animali più abili in fatto di arrampicata troviamo sicuramente le scimmie. La loro conformazione fisica le rende in grado di muoversi agilmente fra gli alberi. Data la loro elevata prensilità possono saltare da un ramo all’altro con la massima stabilità e possono raccogliere la frutta dagli alberi autonomamente. La possibilità di stare in alto è anche un’opportunità per mettersi in salvo dai predatori. Anche le capre in alta montagna sono delle ottime arrampicatrici, il loro zoccolo è strutturato in maniera tale da riuscire a stare in equilibrio su pendenze molto elevate e sono biologicamente configurate per trovare ripari nelle insenature più recondite delle montagne, di modo che i predatori non possano raggiungere loro e i cuccioli.
Possiamo notare pertanto che la natura mette a disposizione queste caratteristiche per due motivi principali: sopravvivenza e procrastinazione della specie, perfettamente propedeutiche l’una all’altra. Possiamo quindi definire l’arrampicata un’attività biologicamente configurata per l’uomo? Pur non essendo un evoluzionista, potrei sbilanciarmi a rispondere affermativamente. Se veramente la scimmia è il nostro antenato più vicino, è logico pensare che anche noi in un lontano passato ci arrampicavamo sugli alberi per cogliere la frutta e metterci al riparo dai predatori. Inoltre, nel corso dell’evoluzione umana sono sorte altre necessità, come per esempio quella di cacciare, pertanto la ricerca di una postazione d’attacco che non fosse visibile alle prede poteva favorire l’approvvigionamento di carne fresca. Anche la conformazione fisica degli arti conferma la tesi secondo cui l’uomo è configurato per arrampicarsi. Fino a questo punto, credo che possiamo essere tutti d’accordo.
La domanda da porsi a questo livello d’analisi è la seguente: pur essendo l’uomo configurato per arrampicare, è biologico scalare una montagna di quasi 1000 metri di dislivello, per lo più senza attrezzatura di sicurezza? Si sta forse morendo di fame e in cima a quella montagna si trova l’unica fonte di cibo? È in corso un cataclisma per cui se gli uomini non ne raggiungono il cucuzzolo, l’intera specie umana finirà? Mio figlio è in pericolo e quella scalata è l’unica opportunità che ho per metterlo in salvo? Pur essendo domande retoriche, ho rievocato alcuni aspetti che la natura prende sempre in considerazione nella messa in atto dei propri programmi: sopravvivenza e procrastinazione della specie.
ADRENALINA
Il motivo che spinge Alex a rischiare la vita per scalare una montagna è un altro e si chiama “adrenalina”. È un ormone che insieme alla sorella “noradrenalina” appartiene alla categoria delle catecolamine ed entrambe vengono prodotte dalla midollare del surrene, tessuto di origine endodermica e pertanto legato ai bisogni vitali e alla sopravvivenza. Viene definita anche un neurormone per il fatto che viene rilasciata anche a livello di sinapsi e quindi dal sistema nervoso centrale. Viene prodotta quando entra in gioco il sistema simpatico, ovvero quella porzione di sistema nervoso autonomo deputato alle attività di fuga o attacco.
Come l’anfetamina, anche l’adrenalina è considerata una sostanza dopante e talvolta viene utilizzata in campo sportivo per aumentare le prestazioni fisiche dell’atleta. Si tratta quindi di un ormone che crea dipendenza. Se ne viene assunta o prodotta autonomamente troppa, porta al desiderio di averne sempre di più, rischiando quindi di entrare in quel circolo vizioso tipico delle tossicodipendenze. Viene anche utilizzata per somministrazione esterna in casi di shock anafilattico o arresto cardiaco. Essa infatti aumenta la pressione cardiaca e favorisce il confluire del sangue al miocardio, mettendo l’apparato circolatorio sotto stress e quindi in forte attività.
Se intesa come farmaco, lo si può considerare a tutti gli effetti un simpaticotonico, in quanto favorisce e aiuta le attività tipiche di questa fase del sistema nervoso (aumento consumo di ossigeno, frequenza cardiaca, rendimento metabolico, glicemia ecc.).
Ciò che Alex richiede è pertanto nuda e pura adrenalina. Lui stesso lo dice in molte sequenze del film. Nelle ore precedenti ad ogni scalata è semplicemente eccitato, su di giri. Cambia persino la sua espressione. Si strania completamente da ogni attività o persona presente intorno a lui. È totalmente coinvolto nel momento. L’intera sua esistenza verte intorno ad un desiderio al quale è impossibile resistere e di conseguenza ogni attività che non ne sia strettamente correlata risulta superflua. Basti pensare alla scena in cui si dirige con la fidanzata in un negozio di elettrodomestici per comprare un frigorifero. I due hanno appena comprato casa, ma Alex non sembra particolarmente interessato all’arredamento. La sua attenzione, semmai, verte sul fatto che la casa si trovi in una zona ricca di pareti da scalare. Per quanto lo riguarda, la casa potrebbe essere più o meno grande, più o meno colorata, con o senza mobili, non importa. L’importante è che in poco tempo possa raggiungere una roccia da accarezzare con le sue dita colme di magnesite.
Le persone come Alex, qualsiasi sia la disciplina sportiva, sono in una costellazione schizofrenica. Più precisamente, si tratta della costellazione della sostanza bianca, conosciuta come megalomania. Questa si presenta nel momento in cui a livello cerebrale sono presenti due focolai - in potenziali diverse fasi della curva bifasica - uno per ogni emisfero cerebrale. Come ho già avuto modo di spiegare in un articolo precedente, la costellazione schizofrenica è un super programma di sopravvivenza che il cervello mette in atto in momenti di estrema necessità. La sostanza bianca regola, tra tanti, i tessuti deputati all’attività motoria e questi sono coinvolti dal risentito emotivo della svalutazione. “Non mi sento abbastanza in forma per compiere questa attività..”, “non sono in grado di muovere adeguatamente questo o quell’arto..”. Sono solo alcuni esempi di come talvolta possiamo vivere certe situazioni che biologicamente vengono “gestite” dalla sostanza bianca.
È importante porre attenzione al fatto che non si tratta di un handicap o di una forma di menomazione fisica, bensì di un programma biologico perfettamente sensato. Alex, infatti, non sarebbe in grado di scalare El Capitan senza essere in costellazione schizofrenica. C’è inoltre da considerare il fatto che il protagonista è costantemente accompagnato da una troupe cinematografica pronta a filmare ogni istante dell’impresa e questa è forse l’unica sua fonte di preoccupazione. Non tanto in termini di paura, bensì in termini di “prestazione”. Alex è infatti preoccupato che la presenza di altre persone intorno a lui possano distrarlo dall’ottenimento dell’obiettivo finale, ovvero raggiungere la cima del monte.
La megalomania non è un programma da condannare. Se la natura lo prevede è ovvio che c’è una ragione, quindi un senso biologico. Senza la megalomania, tanti grandi personaggi della storia non avrebbero costruito imperi, fatto ereggere monumenti, ideato grattacieli, battuto record mondiali in prestazioni sportive. Alessandro Magno, Wagner, Renzo Piano, Leonardo Da Vinci. La storia è intrisa di megalomania in tutti i settori della vita dell’uomo. Posso sbilanciarmi a dire che è stata un elemento fondamentale per l’evoluzione umana. Senza la megalomania probabilmente oggi non avremmo i personal computer, le reti fognarie, gli ascensori e le automobili. Probabilmente ciò che ha mosso gli ideatori di queste scoperte è stato proprio il desiderio di voler fare qualcosa di grande, qualcosa per cui tutti potessero vederli e quindi riconoscerne il valore.
In realtà non importa se il giudizio valoriale debba provenire dall’esterno o da noi stessi. Per il cervello cambia poco. Il risentito emotivo è sempre legato al giudizio di sé, a quanto dobbiamo fare per colmare il “gap” che c’è fra ciò che siamo e ciò che abbiamo idealizzato di essere. Un gap che oggettivamente è totalmente illusorio, in quanto solo il fatto di essere in vita pone un senso all’esistenza stessa. Non esiste un surplus valoriale in termini reali, se non quello inventato dal nostro sistema di credenze, che è totalmente soggettivo.
La megalomania in taluni casi è addirittura necessaria. Basti pensare ad un relatore che deve parlare ad un pubblico. Il cervello attiverà per forza il programma speciale, altrimenti il soggetto non sarebbe in grado di sostenere la situazione. La differenza sta nel fatto che un relatore che parla di fronte a delle persone non rischia la vita e quindi possiamo definire l’attivazione del programma come compatibile rispetto alla biologia umana. Scalare un monte senza protezioni è qualcosa di diverso, oggettivamente. Anche senza considerare il fatto che a casa c’è qualcuno che ti aspetta e che è in ansia per te, a mio avviso la vita non è un dono paragonabile ad un pacchetto sotto l’albero di Natale.
Sarò totalmente sincero. Ho adorato il film. Mi ha tenuto per tutto il tempo incollato alla TV. Ho assaporato ogni brivido del protagonista e della troupe che non raramente lo esortava a ripensarci. Mi ha persino fatto voglia di provare ad arrampicare. La vita, tuttavia, È il dono per antonomasia. Ha veramente senso metterla a repentaglio in questo modo? A voi l’ardua sentenza.
Stupisco sempre me stesso. E’ l’unica cosa che renda la vita degna di essere vissuta.
(Oscar Wilde)