IL MATTO
Purtroppo negli ultimi tempi non sono riuscito a mantenere una costanza nella scrittura a causa di numerosi impegni che tuttāora investono gran parte del mio tempo libero. Fortunatamente questo periodo della mia vita ĆØ molto prolifico in quanto sto portando avanti numerosi progetti, tra cui ovviamente la piattaforma che state utilizzando proprio in questo momento. Sono stato inoltre coinvolto nella preparazione di un corso in cui sarò presente in veste di relatore, in compagnia di Emanuela Grazian, amica e operatrice esperta nel campo degli oli essenziali. Unāoccasione irripetibile per mettere in pratica quella che sto realizzando essere una sorta di vocazione, ovvero la docenza - o meglio - la capacitĆ di trasmettere ad altri una conoscenza. Non si tratta solo di una professione o di un ruolo, bensƬ di una vera e propria forma dāarte che permette allāindividuo che ne usufruisce di espandere il proprio campo di apprendimento, qualsiasi sia il contesto a cui si fa riferimento. Oltre tutto, questa attivitĆ catapulta me in primis in una dimensione di scambio continuo con il fruitore del corso il quale, tramite la sua curiositĆ , veicola nuove possibilitĆ di approfondimento delle tematiche trattate. Non ĆØ pertanto solamente il corsista ad acquisire informazioni, bensƬ anche il sottoscritto.
La forma dellāinsegnamento non sarebbe tale senza un insegnante da una parte e uno studente dallāaltra, ma non ĆØ detto che le due posizioni non si possano invertire.
Uno degli argomenti che volevo trattare nei mesi scorsi ĆØ il viaggio in Cambogia che ho effettuato lo scorso novembre insieme a mio fratello Massimiliano. Un viaggio, qualsiasi sia la meta, trasporta lāindividuo nella dimensione del āMattoā, lāarcano maggiore cosƬ detto āsenza numeroā. Il āWandererā di Goethe. Il viaggio nello Harz di Heinrich Heine. LāOdissea di Ulisse. Sigfrido nel Canto dei Nibelunghi. Si tratta di archetipi letterari che rappresentano il viaggiatore intrepido che - non senza poche peripezie - attraversa impavido una serie di circostanze con il fine di raggiungere una meta prefissata. Lāintera tragedia greca si fonda su questo modello ed ĆØ proprio questo il principio di una delle parole più belle che siano mai state coniate dallāumanitĆ : passione, dal greco pathos, anche sinonimo di ādoloreā.
La tragedia greca si presenta come un susseguirsi di atti che portano ad una concitazione emotiva sempre più coinvolgente, fino a raggiungere il suo picco massimo in quella che Aristotele definiva ācatarsiā. Nel movimento letterario e filosofico dello Sturm und Drang veniva anche definito āsublimeā. Il viaggio, come concetto generico, porta con sĆ© tutte queste connotazioni e può essere visto come lāinsieme delle fasi o circostanze che portano il matto a raggiungere una meta precisa, talvolta a lui totalmente sconosciuta.
Se osserviamo lāarcano maggiore senza numero, noteremo che dietro di lui cāĆØ una sorta di animale non ben definito (potrebbe sembrare un gatto, come un cane) aggrappato con le unghie alle sue natiche. Potremmo captare in questa figura quel principio di resistenza di cui molto ho scritto in molti degli articoli precedenti ed ĆØ proprio quella porzione della coscienza umana che tende allāinerzia. Quella struttura parametrica che porterebbe il viaggiatore a fermarsi per paura che āpossa accadere qualcosaā o che āqualcosa non vada secondo i pianiā. Una struttura bloccante, il cui unico obiettivo ĆØ quello di trovare un luogo āsicuroā, dove nessuno possa accedervi. Il suo obiettivo ĆØ di portare il Matto a fare il contrario di ciò per cui ĆØ stato configurato: stare fermo.
Il Matto rappresenta lāelemento fondamentale della vita, ovvero il movimento. La vita in assenza di movimento ĆØ morte, stasi, inerzia.
Lāuomo moderno, per come ĆØ configurato attualmente, non concepisce il concetto di āprendere e partireā. Si tratta a tutti gli effetti di un paradosso, essendo la figura dellāesploratore la massima espressione della struttura umana. Tuttavia, il viaggio permette di respirare ancora quella remota porzione di noi stessi che ancora anela al modello esplorativo. In particolar modo quando si effettuano viaggi in luoghi le cui culture e tradizioni sono diametralmente opposte a quelle che assaporiamo quotidianamente. La Cambogia, in questo senso, mi ha fatto capire moltissime cose, ma partiamo dallāinizio.
IL VIAGGIO
Ventāanni fa ebbi lāopportunitĆ di visitare il Messico del Sud insieme a due amici. Eravamo molto giovani e totalmente incoscienti. Non avevamo idea di cosa stessimo facendo, nĆ© tanto meno degli eventuali pericoli o fattori a cui porre maggiore attenzione. Non nego che ci siano state delle situazioni sulle quali un pensiero in più non avrebbe guastato, tuttavia in generale credo di poter dire di essermi goduto il viaggio al massimo delle mie facoltĆ .
Fare un viaggio simile a quarantāanni ĆØ tuttāaltra cosa. Le sovra-strutture e le modalitĆ di reazione agli eventi della vita sono ormai ben consolidati e diventa sempre più difficile disarcionarsi da quegli schemi che fondamentalmente ti portano a ripetere sempre le stesse cose. Ci sono persone che vivono per viaggiare e secondo me sono proprio quegli individui che in qualche modo hanno tenuto viva quella coscienza esploratrice di cui tutti, nessuno escluso, sono forniti per natura. Personalmente io ho sempre fatto molta fatica ad allontanarmi dalle routine quotidiane e ho sempre vissuto gli spostamenti e i cambiamenti come dei calessi da trasportare. Figuratevi un viaggio o semplicemente lāidea di dover prendere un aereo. Fortunatamente, specialmente negli ultimi due anni, ho sviluppato una coscienza tale da riuscire a trascendere questi modelli ai quali per una vita ho deciso volontariamente di aderire e pertanto sono riuscito ad affrontare questa opportunitĆ con una serenitĆ che mai avrei pensato di poter provare.
Questo nuovo āmodus operandiā nei confronti del cambiamento - nella fattispecie del viaggio - ha trasformato questa esperienza in una sorta di āpoema epicoā personale, con la sola differenza che la Cambogia non ĆØ stata per me quella che per Odisseo ĆØ stata la Terra dei Ciclopi, ovvero un campo di battaglia. La Cambogia ĆØ stata la mia Itaca.
Fin dal primo istante in cui ho messo piede in quella terra verde, mi sono sentito a casa. Ho provato un forte senso di accoglienza in qualunque posto andassi. Non sono abituato alla gentilezza, quella che viene dal cuore, priva di aspettativa. Una peculiaritĆ sicuramente a portata di chiunque, ma il cui utilizzo ĆØ stato forse totalmente dimenticato nel modello di societĆ occidentale al quale apparteniamo. Una disponibilitĆ che a tratti mi ha messo a disagio. Non importa se il mio interlocutore fosse lāuscere di un albergo o il venditore di frutta a bordo strada. La modalitĆ era sempre la medesima: una totale ed inesorabile disponibilitĆ verso il prossimo. Persino mio fratello, da esperto viaggiatore quale ĆØ - e ben conscio della frenesia e le eccletticitĆ del mondo asiatico - ha ammesso che un tale livello di attenzione da parte di altri esseri umani nei suoi confronti ĆØ stato qualcosa di totalmente inedito. Unāattenzione pura, autentica, senza filtri. Qualcosa che ti colpisce direttamente al cuore, senza margine di errore.
Ho cominciato a pormi delle domande. Come mai questa gente ĆØ cosƬ gentile con me? CāĆØ forse un secondo fine? Mi vogliono āfregareā? Sono un semplice occidentale da prosciugare? Per trovare la risposta non sono servite troppe elucubrazioni mentali. Ć bastato semplicemente visitare il museo dellāOlocausto nella capitale Phnom Penh.
La Cambogia ha vissuto il caso di auto-genocidio più eclatante nella storia dellāumanitĆ . Un evento che per la sua brutalitĆ e brevitĆ di tempo in cui si ĆØ svolto farebbe rabbrividire anche il nazista più efferato. Ufficialmente si contano circa un milione e mezzo di morti tra uomini, donne e bambini in un arco di tempo che va dal 1975 al 1978. In realtĆ , i locali parlano di cifre molto più alte rispetto a quanto descritto dalle fonti ufficiali. Il mandante del massacro, sempre secondo la ricostruzione ufficiale, sarebbe stato il dittatore Pol Pot il quale, con lāappoggio delle milizie dei Khmer Rouges, si sarebbe impossessato del potere e avrebbe deportato gli abitanti delle cittĆ nelle periferie del paese con lo scopo di costituire un regime comunista e distruggere il modello occidentale di libero mercato.
KAMPUCHEA
Quando metti piede dentro un posto come Tuol Sleng ĆØ impossibile non percepire il dolore e le amenitĆ che sono state protratte ai danni di persone innocenti. In alcune stanze sono ancora presenti le macchie di sangue dei prigionieri torturati con il fine di estorcere loro informazioni su eventuali cospirazioni in atto contro il regime di Pol Pot. Anche in questo caso i numeri sono abbastanza āballeriniā, tuttavia il numero di vittime accertato ĆØ di almeno diecimila morti. Pol Pot avrebbe decimato in pochi anni un terzo della popolazione cambogiana. Oltre al genocidio, ĆØ stata presa di mira anche la cultura, con la distruzione di libri, biblioteche, scuole ed universitĆ . Tutto ciò che aveva a che fare con la conoscenza e con le tradizioni fu distrutto senza esitazione.
Alcuni di voi si staranno giustamente chiedendo perchĆ© ho usato il condizionale. Il motivo ĆØ il fatto che tutto ciò che viene raccontato a livello mediatico - in qualsiasi contesto - andrebbe sempre verificato āsul campoā. La veritĆ va indagata e cercata, non deve essere considerata come un pacchetto consegnato a domicilio da qualche giornalista ben pensante. Sulla storia della Cambogia ĆØ stato scritto molto, ciò nonostante nulla ha mai toccato le tematiche che ho avuto modo di farmi raccontare da alcuni locali. Non voglio addentrarmi nel cuore di queste conversazioni, anche perchĆ© mi allontanerebbe dallo āscopeā di questo articolo, tuttavia mi sento di potervi dire che quello che oggi conosciamo della storia cambogiana dovrebbe essere per lo meno rivisto per alcuni aspetti. Ho provato anche a chiamare in causa alcuni dei protagonisti per capire se potesse essere possibile coinvolgerli in unāintervista ufficiale, ma quello che ho ricevuto ĆØ stata una commistione di omertĆ e resistenza. Ho deciso pertanto di lasciare andare e non insistere ulteriormente. Di fronte ad un vissuto come quello, probabilmente la scelta migliore ĆØ quella di restare in silenzio.
La Cambogia ĆØ un paese povero, ma attira moltissimi turisti per via dellāantico tempio di Angkor Wat, situato nei pressi della cittĆ di Siem Reap. Si tratta del più importante tempio religioso del mondo e insieme allāantica cittĆ di Angkor Thom costituisce il più grande conglomerato di templi in tutto il pianeta. Il prestigio in termini di prosperitĆ dellāimpero Khmer, insieme allāaltissima fertilitĆ delle sue terre, ha fatto nascere una contesa tra le due popolazioni adiacenti: thailandesi e vietnamiti. Per questo motivo - e in realtĆ molti altri - tra i rispettivi āviciniā non corre buon sangue, soprattutto con i cugini al di lĆ del fiume Mekong, protagonisti di una delle guerre più sanguinose della storia: la guerra in Vietnam. Nel complesso di Angkor Thom si trova anche il tempio di Ta Prohm, divenuto famoso per le riprese del film Tomb Raider con Angelina Jolie.
Credo sia inutile spiegarvi le sensazioni che si provano visitando questi luoghi. Vi posso solo dire che sembra quasi che il tempo si sia fermato in unāepoca sconosciuta. I rumori, i colori e gli odori sono qualcosa di totalmente estraneo ai miei sensi. Informazioni inedite e difficilmente processabili dai miei neuroni. Persino lāarchitettura degli stessi templi appare come qualcosa di totalmente inconsueto.
I volti rappresentanti il Buddha o le divinità indù Shiva e Vishnu sono praticamente presenti in ogni dove, quasi a voler per forza rimembrare la loro maestosità e onnipresenza. La sensazione principale è quella di essere sbarcati su un altro pianeta e con questa affermazione credo di aver esaurito qualsiasi ulteriore tentativo di spiegazione.
In Cambogia non ci sono autostrade o vie di comunicazione particolarmente strutturate. Ogni spostamento diventa una vera e propria avventura dove non sai mai ciò che potrebbe capitare. Essendo poche le strade che collegano i quattro poli più importanti del paese - la capitale Phnom Penh, Siem Reip e Angkor Wat, Koh Kong (la porta verso la Thailandia) e la spiaggia di Sihanoukville - i locali ne approfittano per caricare di merci ogni singolo veicolo che āsarebbeā deputato al trasporto di persone. Non ĆØ raro viaggiare con accanto sacchi di riso o altri generi alimentari, di solito allāinterno di un mini-van dove non resta un solo centimetro quadrato per potersi muovere. Inoltre, le temperature alte e la scarsa manutenzione dei mezzi sono causa di avarie che possono trasformare uno spostamento di due ore in unāintera giornata di viaggio. Non ĆØ un problema, un viaggiatore mette in conto anche questo come parte integrante dellāavventura. Vi dirò di più. Ć proprio in momenti come questi che emerge la personalitĆ dei locali.
Provate ad immaginare di rimanere a piedi in cittĆ a causa di unāavaria al motore. Potrebbe capitare mentre state andando a lavoro, o in palestra, o a prendere i figli a scuola. Immaginate voi stessi allāinterno dellāauto - con il telefono in mano senza la minima idea di cosa fare - che riempite lāabitacolo di improperi ed insolenze a persone o cose non ben definite. Unāevenienza di questo tipo, vissuta nel contesto in cui siamo collocati, tendenzialmente metterebbe a dura prova la pazienza di chiunque.
Cosa che non accade in Cambogia, dove la prima cosa che balza alla mente del locale di fronte al veicolo in panne ĆØ trovare una soluzione al problema. Non vi tedio con spiegazioni dettagliate, ma vi posso assicurare che anche i rifiuti a bordo strada possono diventare un espediente efficace per rimettere in sesto un motore in avaria. Di fronte a situazioni di questo tipo ĆØ praticamente impossibile vedere qualcuno arrabbiarsi o esprimere un qualche tipo di lamentela verso terzi, come invece siamo soliti fare noi occidentali. In tutta la mia vita, non ho mai visto un tale livello di pazienza e dedizione alla risoluzione di problemi contingenti. Si potrebbe discutere molto sulle loro modalitĆ di vita diametralmente opposte alle nostre, come il livello igienico, sul quale si può sicuramente discutere, il trattamento dei rifiuti (ho visto con i miei occhi autisti gettare lattine fuori dal finestrino con mezzo in corsa) e molte altre cose. Non ĆØ tuttavia mio diritto giudicare usanze e costumi di popoli lontani dal mio, anche perchĆ© come ben sappiamo tutto ciò che a me può apparire come āstranoā, per qualcun altro non ĆØ altro che la consuetudine comune.
Per un cambogiano potrebbe infatti risultare alquanto anomalo il fatto che io vada a lavorare quaranta ore a settimana per acquistare unāautomobile che mi serve proprio per recarmi sul posto di lavoro. Capiamoci bene dunque. Ogni giudizio in questo senso ĆØ totalmente fuorviante e anti-funzionale alla maggiore comprensione di una cultura sicuramente diversa dalla nostra.
SORRISO
Ho fatto molte riflessioni insieme a mio fratello sul comportamento dei locali e su quel loro maledetto vizio tanto incomprensibile a noi occidentali: il sorriso. Ma cosa avranno da sorridere cosƬ tanto questi selvaggi? Con tutto quello che hanno vissuto nel passato, come fanno ad essere cosƬ mansueti e generosi? Persone che hanno visto i loro cari deportati nei campi di sterminio. Guidatori di tuk-tuk che hanno visto i propri genitori e zii scomparire uno dopo lāaltro nel giro di poche settimane. Un popolo che ha vissuto in prima persona orrori indicibili e che hanno visto il proprio paese trasformarsi in un sanguinoso regime totalitario. Nel campo di sterminio di Choeung Ek, a Phnom Penh, ho visto con i miei occhi lāalbero contro il quale venivano scaraventati i piccoli neonati cambogiani. I custodi del sito continuano a trovare resti di ossa umane ogni giorno, quasi come se lāorrore dovesse durare in eterno. Lāintera Cambogia ĆØ disseminata di luoghi come questi, dove milioni di persone sono state uccise barbaramente. Nonostante ciò, continuano testardamente a mantenere quellāincomprensibile usanza. Ć ben stampato sul loro viso, in ogni momento della loro giornata.
Ovunque io mi girassi, anche se fermo ad un semaforo nel bel mezzo del caotico traffico metropolitano, cāera sempre qualcuno che mi guardava con quella strana smorfia sul volto. PerchĆ© sorridono sempre? O forse la domanda ĆØ fuorviante. Dovrei piuttosto chiedermi: perchĆ© non sorrido cosƬ anchāio?
Credo di aver spiegato in modo esaustivo il motivo che mi porta ad avere un tale atteggiamento verso la vita nella totalitĆ degli articoli che trovate nella colonna filosofica. Il viaggio in Cambogia mi ha semplicemente confermato ciò che giĆ sapevo. CāĆØ una porzione di me, chiamiamola pure ācoscienza atomicaā, che mi porta a giudicare tutto ciò che non confĆ con quelli che sono i miei parametri di gradevolezza. Si tratta di una coscienza ottusa, inerziale, auto-referenziale, alla quale permetto di detenere il pieno controllo sulla mia vita. Lāho definita anche āparcheggiatoreā, per enfatizzare la dimensione statica a cui questa porzione di me cosƬ tanto brama. Una coscienza che si basa sul giudizio, la lamentela, lāavarizia e il desiderio di prevaricazione. Una vera e propria patologia che vedo diffondersi a macchia dāolio in tutti i contesti a cui appartengo. La Cambogia mi ha mostrato la natura fittizia e artificiale di questa struttura.
Nel momento in cui tutto ciò che ti serve per tenere in vita quel meraviglioso contenitore biologico che è il corpo umano, ciò che ne consegue è la pura ricerca del piacere, non da intendersi in termini speculativi - come siamo soliti intenderlo noi occidentali - ma in termini di accrescimento della propria auto-coscienza.
Probabilmente un cambogiano parte da una āposizione di vantaggioā per il fatto che nasce in una cultura prevalentemente buddhista, dove principi come il non attaccamento, la gentilezza, la concentrazione e lāequanimitĆ vengono insegnati fin dai primi anni di vita. Non importa ciò che può accadere, lāimportante ĆØ vivere il momento al massimo delle proprie potenzialitĆ . Questo ĆØ ciò che fa di un uomo un essere potente e non solo potenziale. Un uomo cerca soluzioni anzichĆ© creare problemi che non esistono. Si muove secondo il principio di interconnessione, consapevole che il raggiungimento della propria realizzazione sarĆ di beneficio per tutta lāumanitĆ e in generale per lāintero sistema naturale al quale dobbiamo tutti la vita.
Avrei veramente molto altro da dire sulla Cambogia e sul mio viaggio, ma non voglio rischiare di trasformare un articolo in un racconto breve, pertanto mi ritaglio la possibilitĆ di tornare a parlarne tra un poā di tempo. La Cambogia non ĆØ un paese privo di contraddizioni e ci sono alcuni aspetti che andrebbero sicuramente approfonditi con maggiore attenzione.
La dimensione del viaggiatore, simbolicamente incarnata dalla figura del Matto nei Tarocchi, ĆØ quella che permette allāessere umano di fare esperienza totale del mondo. Un mondo inteso come āspazio di movimentoā, non necessariamente come un luogo da visitare. Il Matto può fare esperienza anche nella propria quotidianitĆ , fermo ad un semaforo, attendendo che scatti il verde.
Il Matto esplora ogni singolo aspetto della vita, senza giudicare, assaporandone lāessenza e facendolo proprio. Quel gattino attaccato alle natiche sarĆ sempre presente e non si scollerĆ di un millimetro, ma come avrete ben capito, ĆØ anche il suo più grande alleato. Ć quello che i buddhisti definisco āduhkhaā, ovvero āsofferenzaā, una condizione necessaria e comune a tutti gli esseri senzienti che vivono il āsamsaraā, ovvero il ciclo delle vite. Buddha ci sta semplicemente dicendo: quel principio inerziale ti seguirĆ ovunque, ma se riuscirai a comprenderne lāessenza con lāaiuto del cuore, esso diventerĆ lāarma più potente che tu possa mai impugnare.